Set 102014
 

Periferie.Terragni_IoDonna.140802.Immagine«La prima impresa che proporrei è l’abolizione del termine “periferia”» ha scritto Marina Terragni (Un “ghetto” di nome periferia, Io Donna-Corriere della Sera, 2 agosto 2014). Allora, per risolvere il problema della disoccupazione, la prima cosa da fare sarebbe abolire il termine “disoccupato”? Magari, potremmo chiamarlo “cercatore di lavoro”. Mah!
E la periferia? Magari, potremmo chiamarla “altro centro”, seguendo la “prospettiva policentrica” suggerita nell’articolo. E, con gli esempi, potremmo andare avanti all’infinito, anche perché criticare è abbastanza facile.

VillaClerici_FotoCLASSE DIRIGENTE – Ma, al di là dei termini, possiamo dire che la periferia è l’esito del disinteresse della città nel suo complesso e, in particolare, della sua “classe dirigente” – certo “politica”, ma anche economica, culturale e dell’informazione – nei fatti da sempre “centrocentrica”.
Il fiume Seveso continua ad allagare (sette volte negli ultimi due mesi): ma se le sedi di Palazzo Marino, Fondazione Cariplo e Corriere della Sera fossero state a Niguarda e dintorni – invece che in “centro” – il problema Seveso sarebbe rimasto irrisolto, da cinquant’anni?
O dobbiamo rammentare l’abbandono in cui versa il patrimonio abitativo popolare pubblico milanese, 68mila appartamenti, dei quali 8.500 inutilizzati e 3.800 occupati abusivamente, dove “dimora” una città di 200mila persone?

69610_384031_00068505_7_7211274_mediumMODA – Ma le periferie fanno parte della città, di Milano? Nell’estate 2013, Beatrice Trussardi – dell’omonima casa di moda – affermò: «Che cosa fa Milano per la moda? Zero, zero, zero». Ma, proviamo a modificare la prospettiva: la moda può fare qualcosa per Milano, per le periferie, per esempio proprio a Niguarda? Qui si trova la settecentesca Villa Clerici, che questa estate è stata splendido scenario di una apprezzata rappresentazione dell’opera “Elisir d’amore”. Allora, perché non fare una visita, prima o dopo la prossima settimana della moda? Saremmo lieti di accompagnarla, non si sa mai … e i milanesi, anche quelli che raramente calpestano le vie del centro, sentirebbero la moda più “vicina”.

GIORNALISMO – Solo Niguarda? Dal nord al sud, dall’est all’ovest, la periferia è capace di “narrare”, come chiesto da Marina Terragni: ma chi la sta ad ascoltare? Forse il mondo del giornalismo? Qualche tempo fa, sul Corriere apparve un articolo sui Giornali di Zona (“roba” da oltre 200mila copie di tiratura mensile); per “completezza di informazione” ne vennero citati nove, ma “bucati” sette; qualche Giornale di Zona non citato lamentò l’assenza: la risposta fu che non c’era nemmeno un sito dove trovarli: il sito, magari con tanti limiti, c’era e c’è, è periferiemilano.it.

Tettamanzi_FotoPERIFERIE – Forse è per questo che l’architetto e senatore a vita Renzo Piano va da tempo affermando che «le periferie sono il problema dei prossimi trent’anni». Forse è per questo che Papa Francesco invita ad «andare nelle periferie». Forse è per questo che il Cardinale Tettamanzi già nel 2003 evidenziò che «il problema delle periferie ci tocca un po’ tutti. E tutti noi siamo chiamati a capire che cosa possiamo fare concretamente perché questi agglomerati diventino più vivibili e più umani (…) dare vita a momenti di aggregazione e di cultura (…) affrontare i problemi urbanistici ed economici», dedicando il Discorso alla Città del 2006 – presente tutto lo “stato maggiore” milanese – al tema “Dalla Periferia al cuore della Città”. Ma, non ci pare che abbia avuto molto seguito.
Non che le periferie siano un deserto, anzi. Malgrado le numerose difficoltà, la periferia è un brulicare di presenze con centinaia di associazioni e decine di migliaia di persone che vi operano, che la animano, che la vivono. Ma Milano è «come un operoso alveare, con tante celle che non comunicano tra di loro. Una Milano che non fa sistema, (…) che per farlo deve guardare oltre la cerchia delle mura spagnole» (Indagine Ipsos). Cioè, avere anche un “orizzonte periferico”, anche uscendo da «una certa autoreferenzialità con la quale spesso si muovono le singole associazioni», come evidenziato dal sociologo Aldo Bonomi.

AMMINISTRAZIONE – «Con la nuova giunta c’è stata discontinuità a parole, ma non nei fatti» ha osservato Marina Terragni. Da questo punto di vista, è utile rammentare quanto affermato da Massimo Rebotti (Corriere, 23 dicembre 2011) che, ricordando un impegno del Sindaco Pisapia preso poco prima di vincere le elezioni («Nei miei primi cento giorni ridarò dignità alle periferie, le riporterò al centro»), commentò: «i primi “cento giorni” della giunta Pisapia (che sono ormai di più) dimostrano che pensare a una città partendo dalle periferie è molto più complicato che prometterlo».
Il “fare sistema” … è proprio quello che manca alle periferie e la prima a non farlo, da sempre, è proprio l’Amministrazione comunale:

  1. Consigli di Zona – Decine di funzioni operano sul medesimo territorio, ma non si “parlano”, perché l’organizzazione non lo prevede e il risultato è la frammentazione, lo scollegamento operativo. Ma, anche qui, basterebbe l’introduzione di un piccolo elemento di funzionalità a “costo zero”: la previsione che tutte le funzioni operanti in ciascuna Zona dipendano “funzionalmente” dal rispettivo Consiglio di Zona (continuando a mantenere la dipendenza “gerarchica” dalle proprie direzioni centrali). Troppo difficile? Eh, lo sappiamo, l’organizzazione non è un argomento appassionante, ma aiuta. Altrimenti, possiamo continuare a rimanere con i Consigli di Zona (con 359 consiglieri) che rimangono un’incompiuta, mentre potrebbero avere un ruolo – da subito – utile anche nell’ottica della Città Metropolitana.
  2. Progettazione partecipata – E la partecipazione, tanto invocata? Deve diventare “progettazione partecipata”, consentendo a numerosi cittadini e realtà associative di mettere le loro energie e competenze – e non solo quando scoppiano le emergenze, ma in modo strutturato e continuativo – al servizio della Città.

 

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