«Oggi bisogna salvare le periferie, i prossimi trent’anni devono essere destinati a trasformare le periferie in città, perché se non lo facciamo sarà la barbarie». O le periferie sono una “fissazione”, una “mania” per l’architetto e senatore a vita Renzo Piano, altrimenti più chiaro di così non poteva essere l’appello che ha rivolto a docenti e studenti del Politecnico di Milano in occasione della recente apertura dell’anno accademico.
Ma la situazione è così grave? C’è davvero un pericolo “barbarie”? I gravi incidenti accaduti negli ultimi anni nelle periferie di altre metropoli europee, da Parigi a Londra a Stoccolma, sembravano non riguardare una città come la nostra Milano “con il cuore in mano”. Ma, quanto sta accadendo in numerosi quartieri popolari è ben oltre l’emergenza, segno evidente che Milano non è tutta uguale, che bisogna provvedere con modalità diverse, corrispondenti alle specifiche necessità (anche i negozianti hanno i loro problemi, ma quelli di Via Montenapoleone sono diversi da quelli di Piazzale Selinunte!). Altrimenti, le periferie o restano terre dimenticate o rischiano di diventare solo terreno di conquista e di “scorribande”.
Università – Tra gli altri, le Università milanesi potrebbero fare molto per Milano. Già alcune iniziative sono in atto in alcuni quartieri di edilizia popolare, che vedono impegnati docenti e decine di studenti (v. Mapping San Siro), che studiano i quartieri, incontrano gli abitanti, anche i più anziani, che “finalmente vedono qualcuno che si interessa a loro”. Ma, allora, perché le facoltà di Architettura, Sociologia e le Scuole di giornalismo – tanto per citarne alcune – non moltiplicano queste iniziative, coinvolgendo non decine, bensì migliaia di studenti (ogni anno sono circa 2.500 i nuovi iscritti alle facoltà citate), aiutando Milano a passare dall’indifferenza all’attenzione?
Area P – Come è stato fatto per l’Area C («C» come Centro), bisogna dedicare la stessa attenzione all’Area P («P» come Periferia), vista nel suo insieme, per i suoi vari aspetti problematici, ma anche propositivi. Le periferie sono ricche di energie e di capacità di proposta, di “cittadinanza attiva”, vero anticorpo alla disgregazione sociale, ma che non può essere abbandonata a se stessa, bensì accompagnata da un solido sistema istituzionale cittadino, che invece è frammentato in una serie di enti e competenze – spesso “autoreferenziali” – che non trovano una sintesi, che non sono un “sistema”.
Tra l’altro, in ogni zona “periferica” oltre a numerose associazioni operano molteplici funzioni comunali. Ma non c’è una regia territoriale, con i Consigli di Zona che, dopo 40 anni dalla loro istituzione, continuano a rimanere un’incompiuta.
8ª Convenzione – In tale contesto si colloca l’8ª Convenzione delle Periferie di Milano (Martedì 25 novembre 2014, ore 17.30 – Urban Center di Milano), promossa da Consulta Periferie Milano, giunta al 10° anno di attività, e patrocinata dal Comune di Milano. “Volontariato e progettazione partecipata” è il tema del confronto tra chi opera nel concreto delle periferie milanesi ed i vari interlocutori cittadini. Intervengono:
– Marco Granelli (Assessore al Volontariato, Comune di Milano)
– Sebastiano Citroni (Autore del libro “Associazioni a Milano”)
– Marta Moroni (Ciessevi-Centro Servizi Volontariato).
Le periferie dalle mille risorse saranno capaci di “fare sistema”? Oppure continueranno ad essere “luoghi sconosciuti, luoghi marginali e tenuti ai margini, in una Milano che è un operoso alveare, con tante celle che non comunicano tra di loro. Una Milano che non fa sistema”? (Indagine Ipsos).
Nel 2009, dalle pagine del Corriere della Sera, venne lanciato il “Manifesto per Milano”. In proposito, Giuseppe Guzzetti, Presidente di Fondazione Cariplo, chiese di tenere conto delle periferie degradate: “Un piano per le periferie” titolava il Corriere.
Siamo nel 2014, cinque anni dopo: il Piano c’è? Qualcuno l’ha fatto? Qualcuno ha intenzione di farlo? Ma, non basta fare il proprio dovere, la situazione richiede un “di più”, anche un cambiamento dei propri modi di operare, da parte di tutti. Allora, non è forse il caso che chi ritiene che debba essere fatto un “piano per le periferie”, chiami a raccolta gli interessati e ci si metta all’opera?
Mentre il Seveso esonda, esonda, esonda … le Periferie stanno ingrossando. E’ proprio necessario aspettare che esondino? Magari, per poi avere la magra consolazione di cercare qualcuno a cui dare la colpa se, tra rimpalli vari, lo si trova? Della serie “i buoi sono scappati, si chiudano le stalle!”