I tragici avvenimenti di Parigi hanno riportato alla ribalta il tema “periferie”. E, adesso, si susseguono le riflessioni, le analisi ed anche le promesse. Peraltro, un’attenzione che pare un po’ figlia della consueta logica emergenziale e che, come già accaduto, rischia di «venire meno quando ci sarà qualche altro problema più attuale», come nel 2003 avvertì il Cardinale Dionigi Tettamanzi , che alle “periferie” dedicò l’intero Discorso alla Città del 2006, presenti tutte le cariche cittadine. Ma non ebbe molto seguito.
RIPARTIRE DALLE PERIFERIE?
E “Ripartire dalle Periferie” è anche un po’ lo slogan del momento, declinato in una versione magari un po’ elettoralistica. Ma, “ripartire” per andare dove, alla conquista del “centro”? Una “toccata e fuga” che lascia tutto come trova? Allora, forse è meglio “andare”, “rimanere” nelle periferie. Ed anche “conoscerle” nella loro complessità. Perché nelle periferie c’è una montagna di presenze ed iniziative, “sconosciute” ed anche un po’ “abbandonate” al loro destino.
Nel 2009, in occasione del lancio del Manifesto per Milano, Giuseppe Guzzetti (Fondazione Cariplo), esprimendo interesse, commentò: «Il Manifesto terrà conto delle periferie degradate, delle persone a rischio di esclusione sociale o il punto di riferimento sarà il Quadrilatero della moda?». Il Corriere della Sera titolò “Fondazioni: un Piano per le Periferie”. Ma, il Manifesto per Milano…
Comunque sia, il Presidente del Consiglio Matteo Renzi ha preannunciato che questa settimana farà «una proposta a tutti i partiti per ‘un’operazione Paese’, ossia un investimento ulteriore non solo in sicurezza, ma anche per il recupero di determinate realtà. Perché le periferie non possono essere luoghi di nessuno».
BANLIEUE
In proposito, il sociologo Aldo Bonomi ha recentemente osservato che «al posto delle banlieue, noi abbiamo vere e proprie enclave: condomini o pezzi di condomini in mano ai clan, piccole aree che nessuno è mai riuscito a bonificare». Tra gli altri, quello della rigenerazione socio-abitativa dei quartieri popolari milanesi, che hanno settemila appartamenti inutilizzati, è un tema che Consulta Periferie Milano pone dal 2012 con il “Progetto Abitare popolare periferico”. Si propone che cinquecento monolocali, non rientranti nelle graduatorie perché troppo piccoli, siano assegnati ad un migliaio di studenti fuori sede, disponibili a compiere iniziative sociali e culturali nei quartieri, per rendere il tessuto sociale più forte. Invece, nei quartieri popolari continuano solo inserimenti di categorie di persone fragili, che rimangono in balia dei peraltro ben noti prepotenti di turno.
GRANDE PROGETTO
Ma, i problemi delle periferie – che non sono solo degradate, ma anche belle – non possono essere affrontati settorialmente. Che fare allora? Lo scorso dicembre, Carlo Sangalli (Confcommercio) ha prospettato che per superare il disagio delle periferie è necessario un “grande progetto di solidarietà che coinvolga istituzioni e privati”. Allora, è’ necessaria una “mobilitazione”, una messa insieme di energie, perché le periferie non sono un “problema” di qualcuno, ma responsabilità dell’intera città. Sarà la volta buona?
“PERIFERIA INCONTRA”
Un contributo in questa direzione è il “Periferia InConTra” di Lunedì 23 novembre – ore 17.30 all’Urban Center di Milano sul tema “Periferie: tra Municipalità e Città metropolitana” al quale intervengono:
– Giovanni Poletti (autore del libro “Milano Città Metropolitana”)
– Mons. Luca Bressan (vicario episcopale Cultura-Carità-Missione-Azione sociale Diocesi Milano)
– Andrea Fanzago (vicepresidente del Consiglio comunale di Milano)
– Marco Barbieri (vicesegretario generale Confcommercio Milano-Lodi-Monza Brianza)
– Salvatore Crapanzano (presidente Coordinamento Comitati Milanesi)
– Paolo Limonta (responsabile Ufficio Relazioni con la Città del Comune di Milano)
– Walter Cherubini (portavoce di Consulta Periferie Milano)
MUNICIPALITA’
Perché quella delle Municipalità – nel più ampio contesto della Città metropolitana – non deve essere l’ennesima occasione persa. Nello specifico, un regolamento non vale l’altro e deve fare rima con periferia. Bisogna prevedere una gestione complessiva del territorio, non interventi settoriali e scoordinati. Ciò riguarda anche la gestione del disastrato patrimonio edilizio pubblico che, invece, rimane ancora una cosa “altra”, staccata dal resto. Insomma, come è stato per i Consigli di Zona in questi quarantacinque anni, malgrado il Regolamento del Decentramento del 1977, rimasto inapplicato, all’art. 19 prevedesse: «I Consigli di Zona deliberano le destinazioni d’uso e le affittanze di locali, edifici ed aree del Comune con destinazione ad usi sociali e del patrimonio immobiliare di reddito … ed anche il patrimonio edilizio dell’IACP (oggi ALER/Metropolitana Milanese, ndr) nell’ambito di appositi accordi con tale ente secondo le compatibilità di legge». Di tale previsione, come peraltro di quasi tutte le altre, non se ne fece nulla. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti.
Malgrado ciò, ancor oggi, da più parti si sente dire che si vorrebbe cambiare, ma che non è possibile perché ci sono la tal “regola”, i tali ostacoli … Ma, allora, vogliamo costruire un’organizzazione partendo dalle attuali “prigioni” normative e culturali oppure dall’osservazione e presa in carico delle evidenti esigenze della città e della città metropolitana, dove le periferie dovranno avere una centralità ed una corrispondente organizzazione amministrativa?